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LA VITA CRISTIANA COME ‘’EPIFANIA’’ DI DIO

Omelia tenuta dal card. Petrocchi durante la s. messa celebrata in occasione della Epifania nella Chiesa di San Pio X a L’Aquila

L’AQUILA - Epifania, letteralmente, vuol dire manifestazione. Biblicamente esprime l’iniziativa di Dio, che svela progressivamente il suo disegno di salvezza sull’umanità La prima lettura spalanca uno scenario avvincente. Il messaggio è incentrato sul tema della luce. Una luce che rivela la volontà rendentiva del Signore e, al tempo stesso, costituisce un appello a mettersi in atteggiamento di ricerca. Dunque, una luce che porta la verità, ma anche chiede di essere seguita. Ogni dono di Dio, infatti, rappresenta pure una chiamata a rispondere liberamente all’Amore.
Facciamo una rapida sosta riflessiva sui alcuni passaggi della frase, con cui si apre il primo brano biblico. Sentiamo rivolte a noi le intense espressioni che la percorrono. Anzitutto risuona forte l’invito di partenza: «Alzati» (Is 60, 1). Non basta rimanere seduti e “stare a guardare”. Occorre mettersi in piedi e rendersi disponibili a muoversi subito, nella direzione indicata.
«Rivestiti di luce» (ibid.): la luce non va solo accolta “da fuori”, deve essere “interiorizzata” e trasformarsi in spinta a “diventare” ciò che si è ricevuto. Non si può agire “secondo” la verità, se la verità non ha attivato nell’anima un dinamismo intellettuale e morale, che agisce “da dentro” e si traduce in stile comportamentale. La luce va riconosciuta come grazia proveniente da Dio: bisogna lasciarsi avvolgere dal suo splendore ma anche farsi attraversare dalla sua forza di cambiamento.
«Perché viene la tua luce» (ibid.). Non si tratta, dunque, di una luce generica, ma è quella che riguarda proprio te e di cui hai bisogno. Ti è data per consentirti di capire “chi” sei e per affrontare positivamente le situazioni che vivi. Fai attenzione a non perderla e poi lamentarti di sperimentare una opacità che oscura la mente e il cuore: se questo avvenisse, resteresti senza le risposte giuste alle domande di senso che ti poni.
Tra i “peccati capitali”, di cui parla la catechesi, figurano l’orgoglio, cioè la presunzione di bastare a sé stessi e di procurarsi da soli le “mappe esistenziali” per orientarsi nel viaggio dell’esistenza; il secondo è l’accidia, cioè l’indolenza, che rende allergici all’impegno evangelico e suscita il rigetto nei confronti di una ricerca spirituale che comporta fatica. È la tendenza a rimandare a dopo, a non farsi coinvolgere sul serio dalla Parola, restando rintanati in un “adesso” miope ed egocentrico.
«La gloria del Signore brilla sopra di te» (Is 60, 1): questa è, davvero, una dichiarazione entusiasmante. Se l’Onnipotente irradia su noi la Sua Luce, possiamo diventare come “specchi” (cfr. 2Cor 3,18) che la rifrangono sugli altri e negli ambienti in cui operiamo. Perciò, facciamo in modo che questa promessa diventi in noi una gioiosa realtà. Anche per essere testimoni di “novità evangelica” in un mondo spesso ricoperto dalla nebbia fitta di una cultura non solo pagana ma anticristiana (cfr. Is 60, 1).
La dimensione della “universalità” dell’azione redentiva di Dio, attuata in Gesù, viene intensamente sottolineata nella lettera di Paolo agli Efesini. Ognuno, nessuno escluso, è raggiunto dall’Amore del Signore, il Quale vuole che tutti siano salvi: perciò «chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo» (Ef 3,6).
All’interno di tale orizzonte si inquadra il racconto evangelico, che vede protagonisti i Magi, di cui non conosciamo il nome e la provenienza; erano persone sagge e studiosi dei fenomeni astronomici. Sono diventati simboli dell’umanità che cerca Dio.
Proprio perché avevano lo sguardo rivolto verso l’Alto, riescono a notare l’“evento” insolito della stella-cometa, di cui esaminano attentamente l’orbita, che appariva atipica rispetto agli altri astri. Se i loro occhi fossero stati rivolti in basso o solo verso l’ambiente circostante, questo “segno” straordinario sarebbe passato inosservato e non avrebbe avuto alcuna rilevanza.
Un secondo atteggiamento, da cui abbiamo molto da apprendere, è la prontezza a mettersi in atteggiamento di “discernimento”, teso a scrutare ciò che hanno visto, per conoscerne il significato. Infatti, c’è sempre il pericolo di “percepire” gli eventi con distrazione e superficialità, senza tenere adeguatamente conto di ciò che succede e senza prendere sul serio il “messaggio” contenuto in ciò che accade. In questo caso, al vedere, non seguono la domanda e la ricerca. È fondamentale, per non perdere occasioni di grazia, lasciarsi interrogare dagli eventi e non anestetizzare lo slancio a trovare la spiegazione giusta e la direzione da percorrere.
I Magi, inoltre, non agiscono come individualità sconnesse, ma come gruppo compatto e ben integrato. In questa logica, è bene sottolineare che la decifrazione di un “segno” che viene dall’Alto non va mai intesa come impresa da condurre “al singolare”, cioè racchiusa in un rapporto esclusivo “io-Dio”, ma deve pensata e vissuta “al plurale”, cioè nella dimensione del “Noi” comunionale, che coniuga sempre la sequenza “io-Dio-gli altri”.
I Magi non si affidano a criteri personali di interpretazione; cercano di capire e di decidere affidandosi alla Sapienza di Dio: consultano perciò le Scritture. Solo dopo aver maturato, insieme, convinzioni poggiate sulla Parola, si mettono in marcia, seguendo l’itinerario tracciato dalla stella.
L’avventura del pellegrino richiede capacità rispondere subito e con radicalità all’invito che proviene dalla Provvidenza, rinunciando a beni superflui per puntare sull’essenziale. Il viaggio esige la disponibilità a varcare i propri spazi di sicurezza, per affrontare, con perseveranza, la fatica di un cammino di cui non si conosce il punto di arrivo. La stella rappresenta una certezza da esplorare, su cui vale la pena impegnarsi fino in fondo, correndo gli inevitabili rischi.
I Magi “trovano” Colui che cercavano: infatti, seguendo fedelmente le “indicazioni celesti” arrivano alla meta. Si legge nel testo di Matteo: «la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino» (Mt 2, 9). Nella vita, si giunge a conquistare valori positivi e saldi, solo se si procede in modo perseverante, dirigendosi secondo gli orientamenti suggeriti dallo Spirito Santo. Limitarsi a muovere qualche passo, per poi tergiversare, fermarsi o tornare indietro, rappresenta sempre una strategia esistenziale perdente.
I Magi provarono una grandissima gioia, quando, entrati nella casa, videro il bambino con sua madre (cfr. Mt 2,10-11). Sappiamo che Maria è icona perfetta della Chiesa. Gesù va cercato dove sta: è lì che va riconosciuto e adorato, anche se la dimora in cui abita può apparire dimessa e non rispondente alle attese. Per questo anche oggi il cuore è riempito di una letizia indicibile quando si incontra Gesù nella Comunità credente e fraterna, che ha sempre una indelebile impronta mariana. Infatti, se manca Maria, non si arriva a Gesù. E quando Gesù è dichiarato Signore della nostra vita, a Lui vanno dati i doni più belli: cioè, il “tesoro” che siamo (le buone qualità di cui siamo dotati) e le risorse che abbiamo (tra cui, i beni materiali, da utilizzare secondo la volontà di Dio). Così hanno fatto i Magi (cfr. Mt 2,11). È l’investimento più vantaggioso che possiamo mettere in atto, poiché, nell’economia del Regno, (sia in termini di beni spirituali, come anche esistenziali), si pratica il tasso di interesse del 100 per uno (cfr. Mt 19,27-29).
Dunque, dobbiamo imparare dai Magi. Nel cielo della nostra storia lo Spirito accende sempre “la stella di Dio”, quella che ci guida verso Gesù: Via, Verità, Vita (il Libro dell’Apocalisse parla di “stella del mattino” 2,28). Sta a noi, esercitando la vigilanza evangelica, identificarla e seguirne il corso. Gli eventi, se sappiamo comprenderli e gestirli, ci conducono al Signore e solo da Lui possono ricevere significato e grazia. Se non andiamo da Gesù, i fatti restano senza una spiegazione e privi di forza salvifica.
La mancanza di orientamento (che caratterizza l’“esistenza-labirinto”) è causata dall’assenza di un valido centro di gravitazione spirituale e dalla incapacità di dare ad ogni cosa la misura proporzionata: la scala dei valori, di conseguenza, si scompagina e viene alterata. Bisogna assicurarsi una “bussola etica” affidabile, che consenta di avere punti di riferimento chiari e immediatamente applicabili.
Con la stessa lucidità occorre scrutare i “segni dei tempi” (cfr. Mt 16,2-3), che scandiscono le nostre giornate, e specializzarsi nell’arte di “connettersi” sulle iniziative che Dio intraprende per il nostro bene. Ciò esige di avere lo sguardo abituato a fissare le cose di lassù (specialmente con la meditazione e la preghiera). Infatti, mantenere gli occhi aperti sul Cielo di Dio, che ci trascende, evita che il nostro sguardo resti intrappolato sul “soffitto” angusto delle mentalità di corto raggio e delle abitudini disadattate. Tutte le azioni, che la Provvidenza mette in cantiere, vanno scandagliate alla luce della Parola: accolta, meditata, vissuta.
Chi è troppo invischiato nei suoi interessi non s'accorge delle meraviglie che la grazia opera. Dio non ci costringe; aspetta la nostra libera e generosa disponibilità. Risuona intensa per noi la domanda accorata che il Signore rivolge nella Bibbia: «Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19). Permettimi - carissima sorella, carissimo fratello - di porre alcune domande: Quale è la stella che Dio ha acceso, oggi, nel tuo cielo? Quante “stelle” sai individuare che si sono rivelate provvidenziali interventi nella tua vita? Eserciti questa vigilanza ascoltando la voce della Chiesa e condividendo il tuo percorso con persone “esperte” in umanità e dotate di sapienza cristiana?
Il Vangelo ci parla di un personaggio, purtroppo, sempre attuale: Erode! Si tratta di un soggetto la cui immagine non appare circoscritta ad un periodo di tempo, poiché, in versione malvagia, è diventato una figura-emblematica, che attraversa tutte le epoche della storia. C’è dunque un “Erode” del passato, un “Erode” del presente, come anche un “Erode” destinato ad imperversare nel futuro. Il tratto dominante che caratterizza la fisionomia di Erode è l’avversione feroce nei confronti di Gesù. È dominato dall’intento omicida di eliminare il Signore dal campo dell’esistenza. Per conseguire questo fine, ricorre all’ inganno subdolo. «Allora - dice il testo di Matteo - Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”» (Mt 2, 7-8).
C’è un Erode “dentro” di noi e un Erode “esterno”, a dimensione sociale. L’Erode “dentro”: che volto ha? In me, il mio. In te, il tuo. In lui, il suo. Rappresenta, cioè, la parte di noi, contaminata dal peccato, che risulta uguale a noi nella fisionomia, ma è di segno etico contrario. San Paolo parla dell’“uomo vecchio”, che ci abita e spesso agisce in noi (cfr. Ef 4, 17-24).
L’Erode dei nostri giorni lo riconoscete? Ha assunto mille maschere e ricorre a nuove tecniche di scaltra persuasione al male. Mette in campo la menzogna suadente, ammantata da argomentazioni di stampo pseudo-umanitario. Il fine, però, resta lo stesso: espellere Gesù, dalla mente e dai cuori della gente. In particolare opera attraverso la triplice idolatria dei soldi, del sesso e del successo; che, come ogni idolatria, genera la triplice schiavitù dell’avere, del piacere e del potere.
Siamo chiamati ad imitare la determinazione intelligente dei Magi, che sanno evitare gli intrighi e le insidie di Erode, sempre in agguato. L’evangelista Matteo narra che «avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12).
I Magi ci insegnano che, specie quando ci si trova nei guai, occorre dare retta agli “angeli”. E “angeli”, in senso lato, sono anche coloro, attraverso i quali, Dio ci fa giungere i Suoi consigli e gli aiuti di cui abbiamo bisogno. Specie nei momenti di difficoltà, il Signore non fa mancare mai qualche “angelo” sul nostro cammino. Il primo “angelo” è la Chiesa, di cui siamo membra vive.
Ricordiamo nella preghiera quanti soffrono per il contagio da Covid e le loro famiglie. Affidiamo all’Amore del Padre celeste coloro che hanno perso la vita a causa della epidemia. Assicuriamo la nostra solidarietà alle persone che sono state danneggiate nelle loro attività lavorative ed economiche. Testimoniamo la nostra fattiva “prossimità” agli operatori della sanità e delle istituzioni, che si prodigano - con grande altruismo - per combattere questa devastante pandemia.
Dobbiamo diventare la Casa del Signore, ma per ospitare “in” noi e “tra” noi il Figlio-fatto-uomo è necessario avere con noi Maria: come Madre, Maestra e Modello. Se saremo perseveranti nel seguire la luce della Parola e nell’impegno a sloggiare Erode da tutti i “siti” dell’anima in cui si è furtivamente infiltrato, anche noi, con l’aiuto della grazia, potremo diventare una gioiosa e coinvolgente “epifania” di Dio!
Giuseppe Card. Petrocchi


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